In qualità di presidenti di associazioni sparse per l’Italia aderenti all’AVIB e che si riconoscono nella “Carta dei valori” di AVIB (Federazione delle associazioni di volontariato italiane per la Bielorussia), sentiamo l’obbligo etico di intervenire circa la notizia, diffusa sui social, di un sit in programma a Roma, promosso dal cosiddetto “Movimento riabbracciamo i nostri figli bielorussi”.
Non solo ci dissociamo da questa azione presa in autonomia da famiglie aderenti al Movimento, ma intendiamo comunicare alle autorità di Governo che sovrintendono ai rapporti tra i due Paesi, e consentono l’approvazione dei progetti di accoglienza temporanea di minori bielorussi presso famiglie italiane, di NON condividere l’iniziativa, trovandola inopportuna e priva di buonsenso, che è invece il comportamento che deve guidare le famiglie accoglienti, inserite in progetti solidaristici, la cui responsabilità, lo ribadiamo, ricade sui presidenti delle associazioni proponenti.
In un momento in cui la pandemia affligge i Paesi del mondo, non risparmiando sia l’Italia che la Bielorussia, i cui rispettivi Governi hanno preso decisioni doverose di limitazioni non solo agli spostamenti, ma addirittura che intervengono sui rapporti intrafamiliari, il nostro pensiero dovrebbe essere quello di assicurarci che la salute di minori ospitati e famiglie ospitanti sia garantita e protetta. Non possiamo non evidenziare una forte contraddizione tra i desiderata del Movimento e la situazione in corso, contenuti in un passo del comunicato in cui si legge: “È del tutto evidente che, qualora l’evoluzione del quadro epidemiologico legata al covid-19, alla data della manifestazione del 13.01.2021 ore 14:30 a Roma Piazza Montecitorio, dovesse comportare l’applicazione da parte del Governo di misure più restrittive quali, ad esempio, il Divieto di spostamento, la manifestazione sarà rinviata ad una data successiva della quale sarà data comunicazione in tempo utile”. Già, purtroppo la situazione è seria, nel nostro Paese il numero dei decessi non scende sotto le 300 unità al giorno, e c’è chi pensa che l’interesse dei minori bielorussi sia di venire in Italia? Quale potrebbe mai essere un protocollo sanitario che protegga da oggettivi pericoli di contagio gruppi disomogenei di bambini e ragazzini e i loro accompagnatori adulti che dovrebbero prendere autobus, ritrovarsi in aeroporto, salire su aerei per giungere presso famiglie (sane? Positive ma asintomatiche?); e se dovesse accadere qualcosa di serio che neppure vogliamo pronunciare, durante il soggiorno italiano?
Abbiamo sempre affermato come AVIB e singoli presidenti, che l’accoglienza senza famiglie accoglienti non potrebbe esistere, e le famiglie vengono edotte sul fatto di non avere alcun titolo giuridico, solo doveri e nessun diritto, verso i minori accolti, che nel caso degli orfani, hanno comunque una figura di riferimento legale che ne esercita la potestà di tutore o genitoriale.
Quindi, chiamare quei bambini “I nostri figli bielorussi”, è un errore formale e lessicale. Il cuore grande delle famiglie ospitanti tramuta in amore genitoriale il rapporto che si crea con i piccoli bielorussi accolti, ma questo purtroppo non dà alcun diritto giuridico. Solo l’adozione piena e legittimante rende tali figli e genitori. Prima no. Comprendiamo anche i travagli di quelle famiglie che sono in attesa di adozione, ma non possiamo approvare l’appoggio dato al Movimento da (qualche, uno ?) ente di mediazione, che tale è, e non associazione di volontariato, parrocchia, ente o OdV interessato in maniera gratuita e volontaria dei progetti di accoglienza. Le accoglienze nulla hanno a che vedere con le adozioni, anche se le prime sono la condizione indispensabile perché le seconde avvengano. Ma le accoglienze non danno la patente di genitori. C’è un iter di idoneità che coinvolge servizi sociali e giudici di Tribunali dei minori, ecc.
In conclusione, siamo certi che appena le condizioni lo consentiranno tutte le famiglie, indistintamente, potranno riabbracciare i propri giovani ospiti bielorussi. Fino ad allora è saggio stare in una condizione di attesa e, magari inviare aiuti umanitari, piccoli regali, fare telefonate, per mantenere vivo un rapporto di affetto e vicinanza, senza illusioni.